La nostra attività

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operiamo su Messina e Provincia

mercoledì 31 marzo 2010

Crostata con crema pasticcera e fragole


Quando decido di realizzare qualcosa di particolare e buono per i miei pargoli me ne pento dopo qualche tempo, visto il macello in cucina e il triplo lavoro che mi tocca fare per porre rimedio all'inevitabile sporco che si produce. In verità mi sono divertito molto nel fare la mia crostata e costatare che buon prodotto sia venuto fuori.

Fare i dolci non è una passeggiata in quanto è necessario realizzare più preparati.

Per la crostata è necessario impastare la base di pasta frolla; preparare la crema pasticcera; tagliare la frutta; sciogliere a bagnomaria il cioccolato da porre sulla base sotto la crema; preparare la gelatina che servirà da protezione per la frutta, e infine mettere insieme il tutto cercando di dare una forma appetibile e piacevole.

La mia pasta frolla l'ho voluta fare al cacao con queste dosi:

300 g di farina 00;

150 g di burro;

130 g di zucchero;

1 tuorlo;

1 uovo intero;

3 cucchiai colmi di cacao amaro;

un pizzico di sale.

Una volta impastato il tutto e fatto riposare in frigorifero per 30 minuti abbondanti, ho provveduto a stendere la pasta frolla tra due fogli di carta forno dandole uno spessore di un centimetro circa. Ho imburrato e infarinato una tortiera, ho disposto la pasta frolla, ho bucherellato con una forchetta la base e ho infornato. Un accorgimento che ho voluto prendere è stato inerente alla cottura. Solitamente la temperatura dovrebbe essere di 180°C circa e per un tempo di 15-20 minuti, io ho impostato la temperatura a circa 140°C facendola cuocere, con lo sportello del forno chiuso, per circa 35-40 minuti, poi costatato che ancora la sua consistenza non aveva raggiunto quella da me desiderata, ho abbassato ulteriormente la temperatura e ho proseguito ad asciugare la base per altri 50-60 minuti con lo sportello del forno leggermente aperto. In pratica per come si fa con le meringhe. Il perché abbia adottato questo procedimento in cottura, è spiegabile dalla presenza del cacao che, se cotto qualche minuto in più del dovuto, darebbe uno spiacevole gusto amaro rovinando la preparazione. Quindi una cottura iniziale dolce e prolungata e una secondaria per asciugare delicatamente la base. Tutto naturalmente dipende dal forno di cui si dispone e comunque io mi accorgo dell'avvenuta cottura dall'odore di burro e zucchero cotto che si diffonde. A quel punto si deve assolutamente togliere dal forno altrimenti si rischierebbe di buttare il tutto.

La seconda preparazione è stata la crema pasticcera per la quale ho utilizzato una ricetta consolidata:

4 uova intere;

100 g di zucchero;

6 cucchiai di amido di grano;

1 litro di latte;

bucce di limone;

una stecca di vaniglia o, in mancanza, una bustina di vanillina.

Ho sbattuto le uova con lo zucchero e l'amido setacciato. Nel frattempo ho portato a ebollizione il latte con la buccia di limone e la vaniglia. Ho unito il composto di uova al latte e ho proseguito la cottura per qualche minuto a fuoco moderato continuando a mescolare. Ho fatto raffreddare la crema mescolando di tanto in tanto e dopo l'ho lavorata, ancora tiepida, con uno sbattitore elettrico per una decina di minuti, così facendo ho reso la crema leggermente più morbida ed ho eliminato gli eventuali ammassi dovuti alla cottura.

A questo punto si hanno i due preparati, base di pasta frolla da una parte e la crema dall'altra. Per iniziare a mettere insieme la crostata ancora manca un passaggio: il cioccolato extrafondente da porre sulla base per creare uno strato impermeabile.

50 g di cioccolato fondente o extra o come la volete voi (conviene utilizzarne qualche grammo in più);

1 cucchiaio di acqua.

Per sciogliere il cioccolato è necessaria una temperatura delicata proprio per il motivo descritto sopra per la base di pasta frolla (il cioccolato si brucia facilmente acquisendo un sapore troppo amaro e sgradevole), quindi la cottura dovrà avvenire a bagnomaria. Pentola più grande con acqua e pentolino più piccolo con il cioccolato, immerso dentro la pentola più grande. Una volta che si è sciolto, si attende qualche istante e, ancora liquido, va versato in modo uniforme sulla base della pasta frolla. Si attende che si raffreddi e si solidifichi fornendo così una protezione dall'umidità della crema.

Terminato questo passaggio, si può iniziare ad assemblare. La crema va versata dentro la base e spalmata con una spatola inumidita. Dopo tocca alla frutta in precedenza preparata. In questo caso la fantasia e la creatività giocano un ruolo fondamentale, tutto a discrezione del povero disgraziato/a che si cimenta in questa fatica di Ercole.

L'ultimo passaggio prima di poter gustare la crostata è la gelatina.

Si usa la colla di pesce o il preparato gel per torte:

2 fogli di colla di pesce;

3-4 cucchiai di zucchero;

200 ml di acqua calda;

qualche goccia di succo di limone.

Ho immerso in acqua fredda i fogli di gelatina, li ho strizzati e poi li ho aggiunti in un pentolino nel quale avevo già riscaldato l'acqua. Ho aggiunto lo zucchero e il succo di limone e continuato a mescolare a fiamma bassa fino a raggiungere una consistenza accettabile. Ho spento il fuoco e atteso qualche minuto mescolando di tanto in tanto e, ancora liquida, ho versato il preparato gelificato sulla parte superiore della crostata. Per la prova del gourmet ho atteso la mattina seguente. Niente male davvero, almeno a detta degli assaggiatori.



martedì 23 marzo 2010

Conchiglie ripiene ai sapori Mediterranei









Quando dico che Dio è il miglior cuoco dell'universo, perché ha creato la natura e tutti gli alimenti, non credo di esprimere una falsità. Sulle nostre tavole dovrebbero esserci colori, profumi e sapori esclusivamente attinti dalla natura. Sinceri, genuini, cristallini e limpidi, i piatti preparati dovrebbero rievocare la natura, gli umori, le stagioni, l'amore. Intendo questo tipo di preparazione e di presentazione.

Abbiamo il prodotto della lavorazione dei cereali; le conchiglie. Abbiamo gli ortaggi di colori differenti; peperoni, melanzane, zucchine, pomodori spellati e schiacciati a forchetta, e poi c'è l'olio d'oliva extravergine, c'è il Basilico, c'è il Parmigiano Reggiano. Come colori il viola, il rosso il verde, il bianco, il giallo. Tutti gli alimenti sono di stagione, primizie che hanno soddisfatto le mie necessità e il mio palato. Io non camuffo, non mi nego, assemblo con amore e, con rispetto, propongo la genuinità e la semplicità… non è invitante?

domenica 21 marzo 2010

Il Pesce Stocco Norvegese alla mediterranea - Tradizione e innovazione





"L'occasione fa l'uomo ladro". Io riformulerei in "L'occasione aguzza l'ingegno". Mi sono trovato, seguendo il tirocinio della mia facoltà in Scienze dell'Enogastronomia Mediterranea e Salute, a vistare un'azienda cittadina dove si lavora e commercializza all'ingrosso lo Stoccafisso Norvegese. Essendo uno dei piatti tipici della città e che si ritrova un po' in tutta la nazione, la mia attenzione è stata del tutto rapita dai vari procedimenti che, l'operaio addetto, svolgeva con grande padronanza dei movimenti . Dopo aver assistito a tutti i passaggi che si effettuano con lo stoccafisso rinsecchito per portarlo nuovamente ad uno stato decente, siamo passati, con mia grande felicità, ad una degustazione del prodotto crudo. Non appena messo in bocca si è rivelato morbido e privo del tanfo caratteristico che lo rende sgradevole ai molti palati raffinati. Le mie lusinghe hanno indotto la titolare dell'azienda, a farci un omaggio del prezioso pesce. Che dire, non appena lasciata l'azienda, mi sono messo al lavoro tra i fornelli, e ho preparato il piatto cittadino. Soffritto di cipolla e sedano sfumati con qualche goccia di aceto di vino bianco. Capperi dissalati, olive verdi denocciolate, salsa di pomodoro, sale, zucchero e pepe nero. A metà cottura ho aggiunto il filetto di stoccafisso. Non appena ha iniziato a sfogliare, dopo circa dodici minuti, ho spento il fuoco. Ho condito un piatto di spaghetti al dente con il sugo, qualche foglia di basilico e il risultato è stato quello illustrato nella foto.


" Spaghetti alla Ghiotta Messinese con Filetti di Stoccafisso". Naturalmente la prova del buongustaio l'ho fatta immediatamente dopo aver scattato la foto. Ottimo piatto di spaghetti.


La tradizione non inganna mai.



venerdì 19 marzo 2010

Focaccia messinese - La Tradizione non deve mai mancare





Una delle golosità gastronomiche che si possono gustare dalle mie parti è la focaccia. Solitamente nelle famiglie la parola "chiave" è: "Cosa si mangia questa sera??? Non saprei, magari compriamo un po' di focaccia?", stessa cosa per i singles, senza dimenticare di dire che è stata eletta, a furor di popolo, la specialità tradizionale garantita per la visione di "eventi sportivi tipo partitone di calcio davanti ad un maxischermo LCD con home theatre". Così, in un pellegrinaggio quasi mistico, ci si ritrova in fila in uno dei tanti panifici o più specifiche focaccerie, gastronomie, rosticcerie, etc., pregustando, con l'acquolina in bocca, le diverse possibilità di combinazioni di gusti che gli addetti ai lavori propongono; capricciosa, margherita, norma, primavera, con patate e cipolla, con wurstel, etc., ma la capostipite, la più gettonata, è appunto la tradizionale focaccia alla messinese. È un alimento che non fa discriminazioni, piace a tutti, poveri e ricchi, belli e brutti, gnocche/i e "cozze/i", musulmani, ebrei e cattolici, boss, criminali e magistrati, carabinieri e poliziotti (le due forze si contendono il primato degli arresti con agonismo da partita di rugby), cani e gatti. E' possibile ritrovare in fila amici con i quali ci si è persi di vista o parenti lontani (del tipo uno di Milano e l'altro indigeno). Dovrebbe essere candidata al Nobel per la "tolleranza e uguaglianza sociale" (esiste ?).

Passiamo al dunque!

Come sappiamo la pasta per focaccia è differente dalla pasta per pizza, per pane e per qualsiasi altro prodotto da forno. La differenza è proprio nella preparazione della base e successivamente nella scelta dei condimenti. Ognuno mantiene ben segrete le proporzioni degli ingredienti e, come tutti, anch'io lo farò (?????).

L'impasto consiste in:

  • Farina (io uso un mix di 00, semola e manitoba).
  • Acqua q.b.
  • Lievito di birra.
  • Olio (esclusivamente extravergine d'oliva) mezzo bicchiere per kg.
  • Sale (un cucchiaio raso per kg. Può essere assaggiata a crudo per testare la sapidità. Non uccide!).
  • Zucchero mezzo cucchiaio per kg e comunque dipende dal proprio gusto (io ne metto di più, almeno due cucchiai pieni per kg. Faccio ingozzare i lieviti).

Per il condimento:

  • Pomodoro fresco: si può utilizzare qualsiasi varietà, San Marzano, tondo liscio, a grappolo, Pachino, etc.
  • Indivia riccia detta anche Scarola.
  • Formaggio a pasta filata (per rispettare la tradizione dovrebbe essere utilizzata la Tuma).
  • Acciughe sott'olio o sottosale, che dovranno essere dissalate accuratamente.
  • Olio extravergine d'oliva.
  • Sale.
  • Pepe nero.

Il procedimento, com'è risaputo, consiste nell'impastare la farina dopo essere stata miscelata con acqua, portata a una temperatura di circa 36/38°C, zucchero, lievito, olio e, solo alla fine, il sale.

Io procedo con un impastamento lento e deciso, naturalmente a mano, durante il quale strappo più volte l'impasto e lo ricompongo esercitando una forza più o meno da "sollevamento pesi". Una volta che il glutine è formato, si capisce dall'elasticità della pasta (occorrono non meno di venti minuti di manipolazione), si procede con la lievitazione dopo aver infarinato il fondo del contenitore nel quale è disposto l'impasto e massaggiata di olio la parte superiore. Io la faccio lievitare per almeno due ore al caldo poi riprendo a impastare con meno veemenza e la faccio lievitare per un'altra ora (comunque tutto dipende dalla quantità di lievito usato che può variare dai 24 g ai 6 g per kg di farina). Trascorso il tempo necessario o voluto, divido la pasta, che nel frattempo ha raddoppiato il proprio volume, in pezzi più piccoli usando un coltello affilato e la stendo, aiutandomi con un mattarello (qualche volta ho usato una bottiglia), raggiungendo uno spessore di mezzo centimetro e anche meno. Prendo le misure con la teglia da forno utilizzata per la cottura e taglio le parti in eccesso. Uso la carta forno che dispongo sotto la pasta e questo per un fattore di risparmio energetico personale (mi toccherebbe usare olio di gomito per lavare le teglie e questo è ammissibile solo per un uso casalingo). Dispongo la sottile pasta sulla teglia e provvedo a sistemare i condimenti che dovranno essere cotti insieme.

In precedenza ho tagliato il pomodoro fresco, l'indivia riccia o scarola e il formaggio.

Un accorgimento è di sistemare i pezzi di pomodoro salati in uno scolapasta qualche ora prima di utilizzarli per condire la focaccia. In questo modo si elimina gran parte dell'acqua di vegetazione che altrimenti comprometterebbe la consistenza della focaccia durante la cottura. "Troppa umidità fa male anche alla specialità".

Bado a sistemare piccoli pezzetti di acciuga a distanza regolare sulla sfoglia. Poi dispongo abbondante indivia tagliata in piccoli pezzi (durante la cottura, perdendo l'umidità propria, si abbassa di volume) e infine il pomodoro (in questo modo il pomodoro protegge la scarola che in caso contrario si brucerebbe). La lascio riposare per venti minuti durante i quali la lievitazione riprende aumentando di qualche millimetro lo spessore e inforno a 180-200°C preriscaldato per 20 minuti circa. Controllo spesso, durante la cottura, la parte della focaccia che poggia sulla teglia per evitare che si abbrustolisca eccessivamente e comunque tutto dipende dal forno utilizzato, dalla temperatura, dallo spessore, dalla quantità di condimenti, dall'anima de li mor… suoi (mi scuso per l'espressione ma la vita del cuoco è difficile e la pazienza ha un limite).

Non appena la focaccia ha raggiunto la cottura, passo allo spargimento del formaggio. Ripongo la teglia in forno, ma questa volta uso il grill, per il tempo necessario affinché si sciolga il formaggio e, sfornata, la spennello con olio e macino un po' di pepe nero.

Adesso è pronta per essere pappata. La soddisfazione nel preparare una ricetta del genere con le proprie mani compensa la fatica impiegata.

Bon appetite!!!!




martedì 9 marzo 2010

Pitta Calabrese con Crema di Patate





In un lontano medioevo della mia vita, mi trovavo al confine con la Svizzera, a Mesenzana frazione di Luino provincia di Varese. Ero in terra straniera in mezzo a conterranei. Tutta gente del Sud. In mezzo alle montagne che, in quel periodo, si parla di Maggio, non erano innevate ma ricoperte da una fitta boscaglia verde, ho avuto il piacere di conoscere una coppia di Calabresi veraci. Lei, come tutte le donne del sud che si rispettino, cucinava con passione per gli ospiti dell'azienda agricola nella quale mi ero stabilito proprio in quel tempo. La mia attenzione è stata colpita dal piatto che ha preparato una sera, la Pitta calabrese, una sorta di rotolini di pizza ripieni con minestra selvatica e peperoncino in abbondanza. Tutto realizzato con le proprie mani. Mi è rimasto un ricordo memorabile del piatto tanto che ho voluto riprenderlo in uno dei miei menù come chicca del gourmet (buongustaio). L'impasto del pan pizza l'ho realizzato un po' più leggero, senza strutto o burro, con un mix di farine di semola e manitoba, zucchero, olio, sale e, per renderlo più morbido, qualche cucchiaio di latte e naturalmente lievito. Per il ripieno ho invece voluto usare l'indivia riccia appena sbollentata, per far perdere un po' di amaro ma non troppo, e ripassata in padella con un filo di olio, aglio e crema di peperoncino. Dopo un'accurata lievitazione, durante la quale ho ripreso la pasta per due volte a distanza di venti minuti, l'ho stesa con uno spessore di circa un centimetro. Ho disposto l'erba saltata su uno strato e ho provveduto a fare un rotolo poi posto in forno a 180°C per trenta minuti. Nel frattempo, rimuginavo sul fatto che l'indivia fosse troppo amara e così ho preparato una crema di patate con una noce di burro e latte. Il risultato è quello illustrato nell'immagine. La prova del buongustaio l'ho fatta appena dopo aver scattato questa fotografia... uhm! Che bontà. Piatto quasi del tutto Mediterraneo. La dolcezza delle patate contrasta benissimo l'amaro dell'indivia e il piccante è smorzato dalla mollica della pitta, soffice e compatta.

lunedì 1 marzo 2010

Considerazioni iniziali

In principio era il Caos… Si apre all'orizzonte uno spiraglio di luce. Lentamente illumina l'oscurità e invade, con prepotente forza, ogni cosa.

L'intelletto umano può non essere utilizzato ed essere lasciato in un angolo nascosto, in silenzio, adoperato solo per le necessità. Non si può pretendere di essere Einstein o Leonardo da Vinci, ma neanche l'uomo di Neanderthal, quindi è necessario trovare una via di mezzo. Una soluzione moderata all'incapacità di emergere da quell'oscurità nella quale si versa o ci si adagia per mancanza di stimoli e di tempo.

Spirito di osservazione e senso critico, abnegazione, percezione del dovere, resistenza alla fatica e, perché no, ambizione, sono qualità indispensabili per emergere e tutte postume di un profondo allenamento. La convinzione di credersi arrivati ci riporta in quella claustrofobica condizione di primitivi pur vivendo nell'era dell'iper – tecnologia.

Far funzionare il cervello richiede una massiccia dose di energia e allora perché cimentarsi in cose che ci occuperebbero tempo e fatica quando potremmo risolvere i problemi con un considerevole risparmio di energia utilizzando scorciatoie o escamotage? Naturalmente è impossibile non utilizzare il cervello, voglio solo estremizzare la mancanza di emozioni nell'abbandonare il piacere di creare qualcosa con le proprie mani, godere dei frutti di un impegno costante in una qualsiasi attività, professionale, amatoriale e quant'altro.

Cibo è sinonimo di cultura, di manualità, di conoscenza, di studio, di società e anche di piacere, di salute.

Leggo da molti blogger l'accanimento nel difendere uno stile, una politica, un percorso, un'idea e la cosa mi trova completamente d'accordo con quanti lo fanno. Il difendere le proprie convinzioni è una cosa legittima e mi ritrovo, alle volte, protagonista di tali battaglie "dall'alto della mia bassezza".