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martedì 13 settembre 2011

Suli, mari e ventu - il gusto nella tradizione eoliana





Occorre salvare i sapori che l’industria alimentare, incessantemente, tenta di sopprimere e banalizzare propinando gusti standardizzati. La grande distribuzione è pur vero che facilità la vita di chi è ben inserito nella società attuale, con i suoi ritmi ed esigenze, contemporaneamente sconvolge ciò che da millenni fa parte della cultura popolare, l’alimentazione atavica e le tradizioni gastronomiche. La piccola cucina isolana, e mi riferisco a quella delle isole minori eoliane, è forse la migliore tra quelle tradizionali, sia per una questione di attaccamento territoriale dei propri abitanti, sia per la difficoltà, almeno fino a tempi relativamente lontani, di raggiungere tutte le piccole isole, quindi per una più ermetica esposizione alle novità e influssi di fuori “costa”.  La difficoltà nel reperire le materie prime più eterogenee hanno spinto la popolazione locale ad ottimizzare al massimo le risorse disponibili e i metodi per una più lunga conservazione per i periodi di isolamento invernale. La fame, bisogno fisiologico, è superata dal gusto che è bisogno culturale e questo i nostri isolani lo sapevano perfettamente tanto da creare, con le scarse varietà disponibili, molteplici ricette e di gran gusto. Il pane non poteva che essere considerato la fonte di sostentamento principale e acquisiva anche in questo caso il ruolo di classificatore dello status per come avveniva per gli antichi romani dell’età imperiale. Le temperature eoliane e la scarsità di acqua creavano notevoli difficoltà nella coltivazione del frumento (triticum aestivum-durum), difatti era preferita la coltivazione dell’orzo, molto più resistente a quel clima sebbene meno digeribile.


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