La nostra attività

La nostra attività
operiamo su Messina e Provincia

mercoledì 28 aprile 2010

Riso venere con salsa di fragole e menta

Confezionare un piatto con la frutta può essere una terribile trappola. Non tutti sono in grado di accettare queste sensazioni in quanto, alla maggior parte dei palati, risultano nuove se presentate in preparazioni differenti dal consueto. Ho voluto rischiare presentando un primo piatto differente preso un po' dall'oriente, un po' da altre abitudini alimentari europee, un po' dalla mia mente e dal mio personalissimo gusto. La vena creativa, che a volte è un'arteria altre un capillare, faceva i capricci. Mi martellava insistentemente da alcuni giorni innescando una certa voglia di avventura. "Chi non risica non rosica… Chi non risica non rosica … Chi non… E BASTAAAA!!!" Mi sono dato uno schiaffo (morale) per riprendere le mie attività cerebrali, si fa per dire, e ho dedicato del tempo alla riflessione. Spengo le luci, apro le finestre, mi sdraio sul divano e lascio che la brezza serale mi coccoli un po'. La mia memoria rivisita i luoghi, i piatti, i vini, la gente conosciuta in passato e si sofferma in un periodo durante il quale facevo l'allevatore di cani e giravo l'Italia alla ricerca di una mia collocazione nella società, in verità esploravo il mondo. Estremo Nord italiano, confine con il Canton Ticino, agriturismo il Cavallino Bianco, piatto particolare che rapisce la mia attenzione, risotto ai frutti di bosco. Fino a quel momento non credevo si potessero confezionare piatti con frutta come ingrediente coprotagonista, ma mi riferisco a tempi lontani, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia. Dovevo assolutamente personalizzare e fare un piatto con frutta di stagione, la scelta ricade sulle fragole. Mi rendo conto che esistono migliaia di varietà di riso e ne conosciamo solo alcune, quindi attingo dal sapere altrui una varietà particolarissima non conosciuta dai molti. Riesco a procurare il Venere, un riso nero frutto d'incroci con una varietà filippina, creato e prodotto in Italia esattamente in Piemonte (almeno quello acquistato da me). In verità questo tipo di riso nero è presente in Cina da secoli ed esclusivo delle tavole dei nobili perché molto raro e poco produttivo quindi molto costoso. È croccante, è integrale, è particolarissimo sia per il suo aspetto coreografico sia per le sue fragranze.
Il piatto era già stabilito in precedenza, l'avevo programmato come da immagine. Durante il confezionamento della salsa mi accorgo che manca qualcosa al palato. Non riuscivo ad attenuare in alcun modo la sensazione acidula, troppo forte, delle fragole. Burro, sale, zucchero, spezie. Se avessi esagerato con anche un solo ingrediente, avrei rovinato la salsa irrimediabilmente. Non mi agito, anzi cerco di inventare con cognizione. Inizio mentalmente ad associare gusti e sapori con quello che mi si presentava al palato, spezie, formaggi, panna, e ingrediente tra i più svariati, ma il colpo di cannone arriva con una pianta erbacea fortemente aromatica. Mando il mio "fattorino" a comprare una pianta intera con tanto di vaso. Stacco una foglia, la sciacquo sotto un filo di acqua e la asciugo delicatamente con carta assorbente. Ne stacco un lembo e l'appoggio su un piccolo quantitativo di salsa raccolta con un cucchiaino. Assaggio e… magia. Il miracolo è avvenuto. Il gusto fresco della menta attenuava quello acidulo della fragola, arricchendo la salsa di una nuova sensazione. Cuocio il riso per 45 minuti in acqua salata, lo scolo, lo modello e guarnisco il piatto in modo che al commensale spetti il compito di amalgamare il tutto e voilà. Il piatto è pronto. Essendo una preparazione particolare induco a scoprire i vari sapori e gusti, lentamente, uno per uno. Prima il riso, poi la salsa e infine tutto assieme. I complimenti arrivano con la menta fresca che, a dire dei degustatori, è stata la pennellata finale dell'artista. Abbino al piatto un Alcamo doc. Bianco, fruttato più in bocca che al naso, secco, acidulo (fresco), abbastanza caldo (alcolico). A mio dire il vino doveva essere più fruttato e meno acidulo, ma si sa, gli esperimenti culinari sono soggetti a miglioramenti, comunque ugualmente apprezzato. Dimenticavo...
Buon Appetito!

martedì 27 aprile 2010

Involtino di Sciabola con crema di Avocado

"Il medico si esprime"
clicca sul  link:  http://ivanvinci.blogspot.com/2010/04/il-medico-si-esprime-considerazioni.html 



Un pesce di nome "Sciabola". A vederlo fa un po' d'impressione. Sembra un serpente schiacciato, nastriforme e abbastanza lungo di corpo, ma del serpente ha solo la forma che lo ricorda vagamente, sembra più che altro una mazza da cricket. La carne è molto delicata e tendente al dolce. È abbastanza magro e la sua "carcassa" (cioè lische, teste e pinne) si presta in modo particolare per confezionare brodi e fumetti di pesce. Nei mari profondi della mia città natale, nello stretto di Messina, è un pesce comune, ma è più comune trovarlo sulle tavole in preparazioni differenti (cliccando su questo link http://www.menfish.it/download/menfish_school.pdf, a pag 27 del documento pdf si possono trovare informazioni utili a riguardo).
Il connubio dei sapori è la croce e la delizia dei cuochi. Quando creiamo qualcosa di nuovo, non arroghiamoci la pretesa di essere stati noi i primi, gli scopritori di un nuovo gusto. Non facciamo altro che provare cose nuove per noi stessi, e non solo, e quasi sicuramente (90%), la nostra neo preparazione è un sapore che esiste già. Lavoriamo invece sulla realizzazione del piatto, sulla raffinatezza ed equilibrio dei sapori, sulla sua presentazione. Questo è tutto merito nostro.
A tale occasione ho voluto confezionare questo piatto che è frutto di una riflessione sui miei trascorsi viaggi ed esperienze professionali. Ho sempre desiderato raccontare un aneddoto iniziando con queste parole: "Mi trovavo imbarcato su un cargo battente bandiera liberiana…" (dal film Borotalco con Carlo Verdone), ma non sarà neanche questa l'occasione.
Passeggiando tra i corridoi di un supermercato m'imbatto in un bancone refrigerato sui cui scaffali erano alloggiati alcuni "Avocado", ed ecco che mi è scoccata la scintilla (stavo per prendere fuoco). Avrei realizzato una crema di avocado con tabasco, aglio, olio (naturalmente extravergine) e sale che mi sarebbe servita per accompagnare un secondo a base di pesce. La preparazione inizia a prendere forma, proprio lì nella mia mente. La fervida immaginazione è una qualità necessaria. L'avocado comprato aveva bisogno di ulteriore maturazione a temperatura ambiente per almeno 5 giorni, quindi avevo tutto il tempo per organizzare il piatto e scegliere il pesce. Dalla mia rete d'informatori (siamo organizzati neanche fossimo dei servizi segreti) mi arriva la voce che al mercato, presso un determinato banco del pesce, era in vendita la "Spatola" (nome indigeno per il Pesce Sciabola) freschissima, appena "raccolta" dal mare. La pazienza era premiata da una botta di…fortuna. Il piatto era pronto (per il momento ancora nella mia mente).
Mi metto all'opera. Acquisto il pesce già pulito cioè sfilettato. Lo taglio dando una lunghezza di 10-15 cm. Lesso qualche patata a pasta gialla con tutta la pelle per il tempo necessario (serviranno per il ripieno). Spello le patate e le schiaccio a forchetta, le salo, aggiungo del timo, prezzemolo e un pugno di parmigiano. Sbuccio e taglio l'avocado, lo frullo in un cutter con aggiunta di olio, tabasco, sale e uno spicchio di aglio e ripongo la crema in frigorifero. Utilizzo un filetto di Spatola (ricordo che il pesce arriva a una lunghezza di oltre due metri) e lo avvolgo dalla parte della pelle a una quantità opportuna di ripieno di patate. Lego l'involtino con spago da cucina per evitare che durante la cottura si allarghi, eliminandolo prima di impiattare. Riscaldo il forno a 180-190°C e inserisco la placca con l'involtino cuocendo per 10-15 minuti (i range di temperatura e del tempo di cottura sono variabili, tutto dipende dal proprio forno). Impiatto, guarnisco e servo.
LORO mangiano. LORO sono soddisfatti. LORO mi domandano se ho copiato la ricetta. IO, li invito ad andare… verso altri lidi. (naturalmente scherzo).
Oso un abbinamento con un Cabernet Sauvignon in purezza quindi rosso, tenore alcolometrico 13 vol., non troppo strutturato, abbastanza fresco, leggermente tannico, sentori floreali e leggermente fruttati, speziati ed erbacei, poco persistente. A voi le conclusioni e…
Buon Appetito.

venerdì 23 aprile 2010

Vulcano di riso al nero di seppia



Uno degli impegni professionali, che mi ha visto integrato tra i protagonisti di un evento mondano (per gli invitati), è stato –Menfish, Sapori di mare- svoltosi a Menfi, centro marinaro in provincia di Agrigento, il 21-22-23 novembre 2008.
Una favolosa manifestazione organizzata per promuovere, sostanzialmente, il centro vocato alla produzione di vino, alla pesca e al turismo in genere, e il consumo di prodotti ittici, durante la quale, enogastronomia , cultura e spettacolo, si sono intrecciati in un percorso durato per i tre giorni previsti. Tra gli ospiti della manifestazione, giornalisti, chef, produttori di vino, gente di spettacolo, conduttori televisivi, erano presenti nomi di grande rispetto Amedeo Romita giornalista Rai, Veronica Mayo conduttrice Rai, Rosanna Cancellieri giornalista conduttrice, Sasà Salvaggio cabarettista e presentatore tv. Tra gli chef che hanno partecipato agli eventi enogastronomici durante le cene sociali (hanno cucinato ognuno un piatto previsto nei menù delle due cene del 21 e 22 novembre) Gioì Della Bruna avellinese Doc, Ferruccio Girelli Consolaro veronese, Marco Migliorini volterrano, Stefano Bertoni esattamente non so di dove ma bravo ugualmente, Cesare Marretti fiorentino di nascita e bolognese d'adozione (per chi non lo conoscesse è quello chef spesso ospite della trasmissione "La prova del cuoco", parecchio sui generis e simpaticissimo), Andrea Chiratti e Franco Tornese salentini entrambi, e qualche altro chef non meno degni di menzione, ma ci perderemmo nello scrivere curricula e nomi. Credo che abbiate capito di che tipo fosse la manifestazione. Durante le cene ero addetto alla mescita del vino ai tavoli, sebbene io sia più pratico in cucina, ma con tali nomi di spessore lo spazio era limitato (me la cavicchio anche sui servizi da sommelier, ndr). E così, al seguito del mio corso di laurea interfacoltà "Scienze dell'Enogastronomia Mediterranea e salute", a capo di un piccolo gruppo di sommelier improvvisati e volontari tra i miei colleghi di studi e fatiche, in tutto eravamo in quattro la prima sera e tre la seconda (uno ha dichiarato forfait per sovvenuta infiammazione al nervo sciatico), ho servito vino per 100 commensali assetati per le due cene sociali (100+100), in una location a dir poco emozionante, fornita di cucine professionali all'ultimo grido, "Casa Planeta" palazzone nobiliare restaurato e destinato ad eventi mondani.
Quello che mi ha fatto più piacere dopo le vesciche ai piedi e stanchezza paurosa, è vedere una mia ricetta pubblicata sul web visionabile su questo link http://www.menfish.it/download/menfish_school.pdf (per dare un'occhiata al libretto interessantissimo) a pag 33 del documento PDF. Mi è venuta la voglia di rifare il piatto e pubblicarne l'immagine sul mio modestissimo spazio.

martedì 20 aprile 2010

Crocchette di Spada con purea di patate al finocchietto selvatico e Primosale pepato con acciughe su letto di radicchio.


Questo piatto rappresenta la vera essenza della cucina siciliana pur qualificando solo una minima parte della tradizione. Sapori delicati s'intrecciano a quelli forti.
Il nostro gusto è patrimonio lasciato in eredità dai nostri antenati, cultura che non morirà mai, che è stata e sarà superstite ai trisavoli, bisnonni, nonni, madri e a noi stessi. Sapori che si ritroveranno, se il genere umano sopravvivrà a se stesso, tra centinaia di anni sulle nostre tavole, magari con accostamenti e presentazioni diverse, ma sempre presenti. Lo potremmo considerare un "mare e monti" della Trinacria storica, quell'isola cantata nella letteratura di viaggio dai diversi esploratori di paesi lontani e in epoche diverse (Goethe - Viaggio in Italia; Dryden – Un viaggio in Sicilia e a Malta – 1700), dai molti letterati nelle loro opere (Verga nel "I
Malavoglia"), da artisti nelle loro rappresentazioni canore (Domenico Modugno –U Piscispada). Un piatto che ripercorre la povertà di un popolo che non aveva altro se non la fantasia e l'audacia nel confezionare piatti per ammorbidire la sofferenza di millenni di stenti e tribolazioni con ciò che madre terra e fratello mare garantivano (da questa premessa il senso del piatto).

giovedì 15 aprile 2010

Considerazioni storico scientifiche di un medico specialista


Questa pietanza si colloca pienamente all’interno della cosiddetta “Dieta Mediterranea”. In queste poche righe nel presentarvi questo piatto voglio sottolineare il ruolo importante che ha svolto nei secoli e che tuttora riveste questo piccolo seme del colore verde vivo, il pistacchio.

Questo alimento è originario del Medio Oriente, dove veniva coltivato già in età preistorica, particolarmente in Persia. Successivamente gli arabi lo introdussero in Occidente. La parola “pistacchio” deriva dal persiano pesteh.

Viene coltivato soprattutto in Iran, in California, in Turchia e in Sicilia, nell’agrigentino e alle pendici dell’Etna.

Riscontriamo per la prima volta la parola pistacchio nell’Antico Testamento, in particolare nella Genesi, capitolo 43 versetto 11. Qui a proposito dell’episodio di Giacobbe, il quale manda i propri figli dalla terra di Canaan in Egitto per acquistare il grano, troviamo la frase di seguito riportata: “Ecco ho sentito dire che vi è il grano il Egitto. Andate laggiù e comprate per noi… Mettete nei vostri bagagli i prodotti più scelti del paese e portateli in dono a quell’uomo: un po’ di balsamo, un po’ di miele, resina e laudano, mandorle e pistacchi”.

Plinio il Vecchio, autore dell’Historia Naturalis, cap. X-XIII, datato attorno al 77 d.C., morto nel 79 in seguito alla famosa eruzione che distrusse la città di Pompei, Ercolano, Stabia, ci parla di Lucio Vitellio (Pretore o Governatore romano in Siria) il quale attorno al 20-30 dopo Cristo introdusse il pistacchio in Spagna e Italia.

In tempi moderni in Sicilia, e in particolare nel territorio di Bronte, dove predomina un terreno di tipi lavico, viene prodotto un frutto dal punto di vista organolettico si colloca come qualità ai vertici della produzione mondiale.

Il pistacchio è un potente antiossidante e svolge un ruolo importante nella prevenzione delle malattie cardiovascolari: nel pistacchio sono infatti presenti gluteina, beta-carotene, e gammatocoferolo, sostanze tutte che hanno un ruolo nel ridurre il colesterolo totale e il colesterolo LDL, il cosiddetto colesterolo cattivo. Questo seme di delicato sapore non contiene colesterolo anche se è un cibo altamente calorico: 100 grammi di pistacchio corrispondono a 602 Kcal. Nel pistacchio sono presenti grassi (sia saturi, sia mono e polinsaturi) che corrispondono al 56% del totale ed anche carboidrati (8,2%) e proteine (17,8 %). Il pistacchio contiene inoltre numerosi minerali quali: il potassio, il magnesio, il fosforo, il rame, il manganese.

Il pistacchio è un alimento importante della nostra dieta mediterranea. Il colore verde intenso e il profumo tipico rendono superbo il piatto che lo chef ha preparato con tanta passione. Il nostro giovane chef attento conoscitore della dieta mediterranea, sa infatti unire con grande armonia alimenti spesso poco utilizzati nella nostra cucina, talvolta dai sapori apparentemente contrastanti in un connubio armonico e di grande effetto visivo, olfattivo e soprattutto gustativo. La sua è una cucina semplice ma allo stesso tempo elaborata frutto di un’esperienza variegata nella quale la fantasia la fa sicuramente da padrone. I piatti che spesso presenta sono spesso ricette della nonna che tuttavia vengono personalizzate, direi con gusto e raffinatezza proponendo una cucina moderna e soprattutto salutare fatta di ingredienti semplici e genuini.

A nome mio e dei lettori di questo blog un ringraziamento sentito per le informazioni storiche e scientifiche che il nostro assaggiatore ufficiale ha voluto condividere con noi. (un ulteriore ringraziamento per i complimenti e l’apprezzamento alla mia cucina che mi gratificano e in parte mi imbarazzano)

Il dott. Sebastiano Nicosia, specialista cardiologo, vero “intenditore” della dieta mediterranea; da numerosi anni si occupa di cardiologia clinica e di diagnostica cardiovascolare, attento conoscitore delle malattie cardiovascolari legate al fumo di tabacco, ritiene che la dieta mediterranea svolga un ruolo importante nella prevenzione delle malattie cardiovascolari.

Anthony Bourdain - L’essenza della cucina Italiana.



Una delle mie passioni è la lettura e smanettare su internet per informarmi sul mondo che altrimenti non potrei vedere in tempi così brevi (che meraviglia internet). Come dicevo, questa magnifica invenzione ci permette di essere i più temerari navigatori del cyberspazio ed esploratori alla scoperta di personalità lontane, ci permette di esporre idee, di condividere con chi ci segue le nostre esperienze, etc. La nostra fortuna è che abbiamo la possibilità, rispetto a tempi non troppo lontani, di approfondire i nostri interessi e nello stesso tempo interagire con le "entità" nascoste dietro immagini e pagine virtuali di siti diversi, comodamente seduti su qualche poltrona del nostro regno (possa essere un tugurio in un sottoscala o un castello non fa differenza, il nostro spazio è l'impero che possiamo governare a nostro piacimento). Potendo avere la possibilità di scelta, il mio tempo lo impiego si per il web, ma non mi privo di una sana lettura tradizionale. Quella che si effettua su libri fisici, fatti di sonora e profumata (per chi ama l'odore del petrolio altrimenti il termine sarebbe maleodorante) carta e inchiostro. Naturalmente le mie letture sono indirizzate verso quello che è il mio mondo, l'universo enogastronomico (non si finisce mai di imparare), con qualche capatina nel regno delle scienze e della letteratura classica, insomma un po' di tutto.
Mi sono imbattuto in un romanziere, chef e uomo di mondo (il connubio tra vizi e virtù è una caratteristica del personaggio in questione) Anthony Bourdain (http://www.anthonybourdain.net/) ed ho voluto leggere uno dei suoi romanzi, naturalmente dopo averlo acquistato, "Kitchen Confidenzial – Avventure gastronomiche a New York", forse perché, essendo anche io un po' "vissuto", leggendo la sua biografia si prospettavano divertenti ore di relax. Devo ammettere che è stato piacevole leggere il libro e mi ha fatto ancora più piacere leggere come uno chef di rango, abituato ad una cucina ricercata, potesse carpire, dopo anni di erronee credenze, la vera essenza della" nostra" cucina italiana. Cito testualmente dal suo romanzo:
"Dovevo ammettere che era una rivelazione . Una pasta al pomodoro, praticamente la cosa più semplice a cui si potesse pensare, pasta con salsa rossa, all'improvviso diventa qualcosa di straordinariamente bello ed emozionante. Tutto il cibo era semplice. E non intendo dire facile o banale. Voglio dire che per la prima volta nella mia vita vedevo come soli tre o quattro ingredienti, se freschi e della qualità migliore, potessero essere combinati in modo da dare un risultato eccellente e a tratti mirabile. Piatti casalinghi, campagnoli come zuppa di pane alla toscana, l'insalata di fagioli bianchi, i calamari alla griglia, il polipetto, i teneri carciofi novelli in olio d'oliva e aglio, un semplice sauté di fegato con cipolle caramellate, diventano immediatamente un'ispirazione, una novità. L'integrità, semplice e senza pretese, di tutto questo era un approccio inedito, diverso da tutte le salsine confezionate e dagli ingredienti esotici del mio recente passato".
Questa breve citazione è estrapolata dal capitolo intitolato: "PINO NOIR: INTERLUDIO TOSCANO" (pag. 165) e si riferisce all'esperienza professionale, essendo un romanzo autobiografico, che l'autore ha vissuto presso il ristorante newyorchese "Le Madri" del patron Pino Luongo (http://pinoluongo.wordpress.com/about/).

mercoledì 14 aprile 2010

Spaghetti al pesto di pistacchi con croccante di speck



Clicca qui per leggere le Considerazioni storico scientifiche di un medico specialista




Non c'è bisogno di andare lontano per trovare l'eccellenza gastronomica. L'Italia è patria del prodotto eccellente, che non richiederebbe alcuna manipolazione per farsi apprezzare nell'insieme delle caratteristiche sensoriali – organolettiche – gustative – nutrizionali, dove ogni regione ne propone un'ampia varietà. Non resta che scegliere il giusto abbinamento di sapori, assemblare il tutto, chiudere gli occhi e, dopo aver fatto godere la vista e l'olfatto, gratificare il gusto con assaggi lenti e indagatori.
Lasciamo che ogni minima molecola del boccone venga percepita dalle nostre papille gustative e nasali, in verità in bocca si riescono a percepire le sensazioni tattili (untuosità, consistenza, grassezza,succulenza, astringenza, piccante, calore) e saporifere (dolce, salato, acido, amaro e umami, il quinto gusto dovuto a particolari recettori sulla lingua scoperti nel 1908 da un scienziato giapponese, il professore Ikeda, indicate alla percezione del glutammato monosodico presente in natura in alimenti ricchi in proteine…ma questa è un'altra storia), mentre l'aroma del boccone di cibo è dato dai recettori olfattivi per via retro nasale. Durante la masticazione si sprigionano le molecole volatili del boccone di cibo che risalgono dalla cavità orale verso l'epitelio olfattivo contribuendo a percepire il sapore di un cibo.

Fatta questa breve precisazione tra le nozioni delle scienze gastronomiche, passiamo all'indagine organolettica, dove precisione e accuratezza, retaggio di studi sulla chimica analitica, svelano i segreti di un piatto, inteso come preparazione gastronomica (sarebbe assurdo pensare di carpire il gusto della ceramica o altra materia inorganica). Il piatto in questione che ho voluto preparare è uno spaghetto di marca scelta (cerchiamo l'eccellenza), un pesto di pistacchi realizzato sul momento con croccante di speck. Il pesto di pistacchi è di largo uso nella mia regione, soprattutto in provincia di Catania presso il comune di Bronte, dove esiste la migliore varietà, può trovare consensi o disapprovazioni dettati dai gusti personali. Effettivamente il gusto del pistacchio tostato, a impatto, è abbastanza aromatico ma poco incisivo e persistente con una nota tendente al dolce e una buona dose di grassezza (lascia una sorta di patina al palato) ed è per questo che viene usato nella pasticceria soprattutto secca e nella gelateria le cui preparazioni sono molto apprezzate. In un piatto salato purtroppo trova molto scetticismo e questo lo denoto dalle facce di chi è costretto a mangiarne uno (il mio assaggiatore ufficiale è un cardiologo dott. Sebastiano Nicosia, buongustaio per passione, con esperienza nel settore gastronomico avendo girato una parte di mondo per le convention mediche. Gli ho chiesto di scrivere una considerazione sul piatto assaggiato che posterò, non appena me la consegnerà). Il pesto, fatto con pistacchi tostati e sgusciati, olio d'oliva extravergine e qualche foglia di prezzemolo, usato tal quale come condimento non renderebbe merito alla prelibatezza del piatto. Occorre spingere il gusto delicato e tendente al dolce con altro alimento più sapido e aromatico. La scelta ricade su un salume speziato, saporito e aromatico: lo speck. Sarei potuto rimanere in tema regionale utilizzando un filetto di coscia di Suino Nero dei Nebrodi che avrei affumicato io stesso con bacche di ginepro e rametti di ulivo, ma si deve assolutamente rendere onore al merito (l'ermetismo lo lasciamo ad altre epoche e per altre arti, noi siamo apertissimi). Adopero delle sottilissime fette di Speck e le rendo croccanti con un filo (e dico un filo) di olio. Non appena le sottili fette del pregiato salume toccano il calore si richiudono su se stesse creando così un effetto visivo per niente male. Le metto da parte per dare il tocco finale. Fatti gli assemblaggi del caso in altra padella con aggiunta di qualche ingrediente speciale provvedo a terminare il piatto. Non mi dilungo oltre sul resto del procedimento ma lascio parlare l'immagine e….

Buon Appetito!!!

venerdì 9 aprile 2010

Pappardelle al ragù - Amour toujours


Mi trovo spesso indeciso su come onorare le persone a me care durante ricorrenze particolari, San Valentino, anniversari, compleanni, etc. Comprare fiori, piante, scrivere lettere d'amore e di ringraziamento, le ritengo azioni un po' scontate e superate. Una cenetta a lume di candela potrebbe essere un modo diverso per dire alla propria donna quanto si ami o quanto ci dispiaccia di averla offesa, oppure ringraziarla per essere presente nella nostra vita nonostante gli atteggiamenti lunatici e scontrosi nei suoi confronti. Ritorna alla mia attenzione l'espressione " Dillo con un fiore" e allora perché non regalare un piccolo omaggio gastronomico fatto con le proprie mani che ricordi, sebbene in modo vago, un fiore. Carpiamo la sua attenzione e i suoi sensi con la nostra dimestichezza tra i fornelli anche se, a dire il vero, occorrono anche altre doti che non mi soffermo a descrivere, ma che potremmo benissimo immaginare, comunque come inizio è sufficiente.

Classico piatto delle feste "lasagne al ragù"che ho rivisto in questo modo sostituendo le pappardelle alle lasagne e lasciando il resto degli ingredienti inalterato, aggiungendo un piccolo segno di riconoscenza e attaccamento al mio territorio "la melanzana" (Sicilia I love you!!!) . Sono riuscito a confezionare un piatto più delicato perché ho potuto dosare meglio i condimenti.

Il ragù:


300 g di tritato di bovino

400 g di tritato di suino (in verità andrebbero gli avanzi della coscia del prosciutto crudo.)

Cipolla, carota e sedano quanto basta per creare una dadolata e ricoprire il fondo del tegame (naturalmente la cipolla in proporzione deve essere un po' di più).

Un barattolo di pelati

Un bicchiere di acqua con 2/3 cucchiai di concentrato di pomodoro sciolti dentro.

Un bicchiere di vino rosso.

Una foglia di alloro.

Una spolverata di noce moscata.

Olio d'oliva extravergine.

Sale e pepe nero q.b.

Una volta tagliate le verdure, cipolla, carota e sedano, devono essere soffritte con l'olio d'oliva. Dimenticavo, la quantità di olio deve essere circa mezzo bicchiere da 125 cl. Le imbiondisco 2/3 minuti a fuoco non troppo alto e aggiungo il tritato (tutto) che continuerò a rimestare fino a sbiancarlo (il colore della carne in cottura vira dal rosa/rosso al bianco per poi, a cottura inoltrata, prendere un colore bruno per "la reazione di Maillard" cioè una serie di trasformazioni chimiche particolarmente complesse che riguardano le proteine e i glucidi presenti…ma questa è un'altra storia. [Un inchino alla prof. Di Bella]). Una volta data una leggerissima cottura uniforme a tutto il tritato, provvedo a salarlo e di seguito sfumarlo con il vino rosso. Io preferisco salare la carne senza il resto degli ingredienti, in questo modo riesco a controllare meglio la sapidità del ragù senza dover, di volta in volta, aggiustare di sale. Assorbito il vino, aggiungo le spezie e odori; pepe nero, noce moscata e alloro, non eccedo, ma così facendo conferisco, sin dall'inizio, alla base del ragù, ossia la carne, quella fragranza che sarà fondamentale.


Aggiungo i pelati che vado a sfaldare con la mano, naturalmente evitando gli schizzi, seguiti dal bicchiere di acqua e concentrato. A questo punto non resta che abbassare il fuoco e proseguire la cottura a fuoco molto basso per almeno 1 ora con il coperchio semi chiuso. Ogni tanto è opportuno dare una controllatina e una rimestata per evitare che la carne giochi brutti scherzi attaccandosi al fondo del tegame. Nel caso in cui il liquido fosse evaporato, sarebbe opportuno aggiungere un po' di acqua calda o di brodo vegetale genuino, fatto con le verdure fresche(noi cuochi ne teniamo sempre diversi litri in caldo pronto per qualsiasi uso o diluizioni). Quasi al termine della cottura controllo sempre il sapore, cioè assaggio per eventuali correzioni di sale o altro. Il risultato è un ragù piuttosto compatto e non troppo liquido. Dalle mie parti è consuetudine aggiungere al sugo anche i piselli, io li ho voluti cuocere separatamente con olio e cipolla, un dito di acqua e sale, per poi utilizzarli nella confezione finale del piatto.


La besciamella:


Questa salsa, se fatta bene, è delicata e piacevolmente tendente al dolce. È di largo uso nella nostra cucina in quanto lasciata in eredità da magnifici cuochi, che, nei secoli passati, erano contesi dalle famiglie nobiliari di tutto il meridione d'Italia (da Pachino Capo Passero a Napoli). In Sicilia erano chiamati "Monsù" dalla storpiatura di "Monsieur", esperti nell'arte gastronomica i quali avevano appreso i segreti culinari prestando servizio in Francia. In verità la maggior parte dei piatti caratteristici e conosciuti della cucina regionale siciliana sono null'altro che una rivisitazione popolare (con materie prime alla portata delle tasche sgonfie dei meno abbienti ma di non meno palato fine dei nobili), di piatti confezionati dai magnifici Monsù, non escludendo l'influenza araba che ha lasciato l'abitudine di unire il dolce (per esempio l'uva sultanina) al salato….ma questa è un'altra storia! (ma quante storie che lascio in sospeso, mi tocca fare gli straordinari!)

La salsa besciamella che io preparo da utilizzare con le minestre asciutte (cioè i primi piatti a base di pasta), la realizzo un po' più morbida, cioè:

1 litro di latte

50 g di burro

50 g di farina tipo "00"

Pepe bianco q.b.

Noce moscata, una grattugiata abbonante (l'aroma deve sentirsi e consiglio di spostare con le mani, come se si stessero scacciando le mosche, il vapore che esce dalla pentola verso il proprio naso senza infilare la testa dentro la pentola che potrebbe inquinare la salsa accidentalmente con agenti fisici tipo capelli, saliva, bottoni, etc.[ri-inchino alla prof.])

Sale q.b.

In un pentolino sciolgo il burro a fuoco bassissimo e aggiungo la farina mescolando delicatamente. Si forma una sorta di pasta non troppo asciutta che non dovrà essere lasciata sul fuoco troppo tempo. Io consiglio, una volta che il burro è fuso, di spostare il pentolino dal fuoco e lavorare l'impasto, detto "roux", con il calore accumulato per poi rimetterlo qualche altro secondo su fuoco delicato al fine di amalgamare bene il composto. Il roux tende a bruciarsi facilmente prendendo una colorazione brunastra e sapori sgradevoli che comprometterebbero la salsa finale. A questo punto ci sono due metodi differenti di unire il roux al latte, uno con latte a temperatura ambiente e l'altro a caldo. Io preferisco a caldo, cioè porto a quasi ebollizione il latte, in una pentola a parte, e aggiungo il composto legante mescolando continuamente il liquido a fuoco moderato. Dopo qualche minuto si avverte, mescolando con la frusta, maggiore resistenza, è la salsa che prende consistenza. Provvedo a salare, e aggiungo le spezie. Continuo la cottura per circa 10 minuti. A questo punto la salsa besciamella sarebbe pure pronta per essere utilizzata, ma essendo un tipo pignolo nel mio lavoro e vista l'occasione di un tête- à-tête riparatore, filtro il tutto attraverso un setaccio dalle maglie non troppo strette per eliminare eventuali grumi di roux. Nella maggior parte dei casi, di grumi, ne sono presenti pochissimi e la cosa mi gratifica tanto da sembrare un bambino che riceve in premio la sua caramella tanto desiderata.

Ora è il momento della creatività e dopo aver condito le pappardelle (senza però esagerare, la moderazione è essenziale alla delicatezza) termino il piatto come da foto. Per l'occasione ho abbinato un vino rosso Nero D'Avola - Cabernet Sauvignon senza menzionare altro (per la pubblicità rivolgersi ai nostri agenti J).
Vorrete sapere com'è andata a finire???? Sarà stato merito del vino, merito del piatto o merito di entrambi, ma la mia compagna mi ha perdonato concludendo: "Sei un adorabile canaglia!!!". Sotto voce vi confido che la serata si è prolungata con un… tête-a-tête più intimo, ma che resti tra di noi. Quindi possiamo dire (pluralis maiestatis) che la ricetta è garantita per occasioni del genere.
In verità l'immagine da me scattata non ha reso giustizia alla presentazione del piatto. Sono un cuoco mica un fotoreporter!!!!!

Buon appetito.


lunedì 5 aprile 2010

Il cocktail del gourmet





Per un ottimo antipasto, da presentare a ospiti di rango o meno, inserito in un menù di mare, propongo il conosciuto cocktail di crostacei. La delicatezza e raffinatezza della preparazione rende il piatto per nulla obsoleto e sempre proponibile a qualsiasi palato evoluto o meno. Il cocktail è formato da quattro parti fondamentali:

Un letto di lattuga tagliata a "Julien".

Uno strato di gamberi (vale per qualsiasi crostaceo si disponga o si voglia).

Uno strato di salsa cocktail.

Ingredienti aggiuntivi che andranno a completare l'estetica e che faranno la differenza al palato.

Per quanto riguarda il letto d'insalata vi è poco da dire se non la scelta della varietà. Io uso sempre lattuga croccante di tipo Iceberg e la taglio dando una lunghezza vicina a quella del crostaceo utilizzato.

Il crostaceo, in questo caso il gambero, va sgusciato, privato dell'intestino e bollito in acqua salata per un minuto o comunque in base alla pezzatura dello stesso (deve cuocere il tempo necessario affinché il colore da rosa viri verso il bianco).

Arriviamo al passaggio più complesso: "La salsa cocktail".

Per comporre una salsa delicata e piacevole occorre raffinatezza del palato, qualità intrinseca e indispensabile per ogni addetto ai lavori. Tutto dipende dal proprio gusto.

Maionese, salsa di pomodoro aromatizzata (in sostanza tomato ketchup salsa di origine orientale e non americana), salsa worcestershire (di origine inglese), tabasco (questa di provenienza americana anche se ha il nome di una regione messicana), infine il tutto innaffiato con del brandy.

Le dosi sono soggettive e non vanno programmate anticipatamente. Io mi regolo in base al mio palato e le aggiungo poco per volta. La base è la maionese che naturalmente preparo io stesso. Aggiungo tanto ketchup quanto serve per colorare la salsa di rosa, circa 3-4 cucchiai per 200 g di maionese. Poi passo all'aspersione delle altre salse (trovo un non so ché di religioso!!?). Il tabasco va centellinato qualche goccia; deve conferire una leggerissima sensazione di piccante senza mai eccedere. Per la salsa worcestershire ne aggiungo qualche goccia in più (mi piace il suo sapore). Il brandy va aggiunto con parsimonia. L'aspetto della salsa deve essere un po' meno denso del normale e il gusto finale deve essere armonioso. Terminate le preparazioni di base del piatto si può assemblare il tutto. Da ricordare che l'insalata va tagliata poco prima di essere utilizzata per evitare spiacevoli imbrunimenti dovuti all'ossidazione naturale. Io aggiungo delle fettine di arancia e delle olive verdi tagliate a rondelle, servono ad arricchire la preparazione di nuove sensazioni oltre che all'estetica. Ultima cosa da ricordare, se riuscite a leggere il post fino in fondo, è che tutto va servito molto freddo. Non per ergerci ai livelli di Artusi ma qui parliamo di "scienza in cucina"…. Scherzi a parte, quest'antipasto è una vera delizia.

Buon appetito.