La nostra attività

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domenica 27 giugno 2010

VINO AI CICLOPI breve guida alla degustazione


Analisi gusto olfattiva: i polialcoli o morbidezza







Queste sostanze sono principalmente costituite dalla glicerina o glicerolo, un alcol polivalente (esattamente trivalente, ossia una molecola con tre atomi di carbonio ai quali sono legati "tre gruppi ossidrili", cioè OH), oltre a mannitolo, sorbitolo, 2,3 butilenglicol, etc.
Per avere cognizione di come i polialcoli possano svolgere la loro azione di morbidezza al palato, è necessario conoscere, anche se sommariamente, l'aspetto del glicerolo, maggior responsabile di tal effetto.
"Il glicerolo è un liquido incolore, dolciastro e vischioso, presente nel vino in quantità variabili tra 5-18 g/l".
Oltre alla glicerina, o glicerolo, e altri alcoli polivalenti, responsabili dell'effetto morbido di un vino percepito al palato (in bocca) sono da menzionare: gli alcoli monovalenti (con un gruppo ossidrile OH) etilico, propilico, etc.; gli zuccheri monosaccaridi (glucosio, fruttosio, etc.) e disaccaridi (tracce di saccarosio); le sostanze colloidali (gomme, pectine, mucillagini).
L'insieme delle sostanze sopra descritte permette di percepire una gradevole sensazione avvolgente e che arrotonda il gusto del vino, equilibrando le sensazioni più spigolose dei tannini, degli acidi organici e dei sali.
I termini per giustificare la morbidezza in un vino sono:

Spigoloso: utilizzato per indicare un vino nel quale è impercettibile la sensazione di morbidezza per la carenza delle sostanze deputate a tale scopo. Generalmente è spigoloso un vino che abbia ricevuto un trattamento di lavorazione troppo energico, causandone l'impoverimento delle morbidezze (alcoli, zuccheri e sostanze colloidali). In bocca, tali vini, sono sfuggenti e lasciano uno sgradevole senso di spigolosità. Non è accettabile!



Poco morbido: si dice, in genere, di vini poco strutturati, giovani, con scarso contenuto glicerico e alcolico, nei quali si percepisce una scarsa sensazione di morbidezza.



Abbastanza morbido: si dice di un vino in cui si percepisce una discreta sensazione di morbidezza, dovuta a una presenza equilibrata di glicerina e alcol.



Morbido: si dice di un vino nel quale è percepita una sensazione vellutata e avvolgente, dovuta a una buona struttura e una buona concentrazione di glicerina e alcol.



Pastoso: netta e predominante sensazione di morbidezza dovuta ad un'elevata concentrazione di glicerolo e alcoli. Solitamente si riscontra in alcuni ottimi vini da dessert, come liquorosi dolci, passiti e comunque in vini ottenuti da uve botritizzate.





Come si nota dalla descrizione per il termine "Pastoso", i vini ottenuti da uve attaccate dalla muffa nobile (Botrytis cinerea) presentano queste spiccate doti di morbidezza e vischiosità dovute all'attività metabolica di questi specifici microrganismi in grado di produrre grandi quantità di glicerina. Le caratteristiche di morbidezza di un vino terminano. Abbiamo valutato tutti gli aspetti gusto olfattivi che determinano quelle sensazioni in bocca avvolgenti, pseudo caloriche e di dolcezza eventuale e che, con il loro spessore (concentrazione), sono importanti ai fini dell'equilibrio.





Continua su questo link:   L'acidità o freschezza












sabato 19 giugno 2010

VINO AI CICLOPI breve guida alla degustazione


Analisi gusto olfattiva: gli alcoli o pseudocalore


Gli alcoli rappresentano nel vino uno degli elementi più importanti perché sono, dopo l'acqua, le parti più abbondanti. Il perché mi riferisca agli alcoli, cioè al plurale, è dato dal fatto che nel vino sono presenti oltre all'alcol etilico o etanolo, anche gli alcoli: metilico, etilico, propilico, butilico, amilico, e altri a catena più lunga detti superiori. Al fine sensoriale, però, l'alcol etilico è quello più efficace essendo presente in concentrazioni maggiori ed essendo responsabile dell'effetto pseudo calorico, cioè permette una momentanea dilatazione dei capillari della mucosa favorendo più afflusso di sangue alla bocca. Ecco spiegato l'effetto pseudo calorico che si avverte in bocca dopo un assaggio di un qualsiasi vino.
La valutazione sensoriale dell'alcol, però, richiede ulteriori spiegazioni. Come detto in precedenza, l'alcol accentua le altre caratteristiche di morbidezza del vino (dolcezza e morbidezza), contrasta e viene contrastato dalle caratteristiche di durezza (acidità, astringenza e sapidità). Assaggiando un vino con un tenore alcolometrico di 11,5 % vol., si può percepire una più spiccata sensazione pseudocalorica rispetto ad un vino con titolo alcolometrico di 12% vol.
A temperatura uguale (ammettiamo 18°C) la spiegazione è che il primo vino, essendo meno strutturato del secondo, accentua la sensazione calorica. Il secondo vino avendo un discreto tenore in durezze equilibra il vino ammorbidendo la sensazione calorica.

I termini per giustificare la percezione degli alcoli sono:

Leggero: quando in un vino si percepisce una sensazione pseudocalorica molto delicata dovuta alla scarsa concentrazione di alcol in soluzione. È usuale definire con tale termine vini come il Brachetto d'Acqui, il Sangue di Giuda o l'Oltrepò Pavese (6-7% vol.), oppure il Moscato d'Asti (4-4.5 % vol.). In tutti gli altri casi è da considerarsi una situazione anomala.

Poco Caldo: quando in un vino è presente una moderata concentrazione di alcol (10- 11% vol.), oppure quando prevale la sensazione di acidità e tannicità (freschezza e astringenza).

Abbastanza Caldo: quando si percepisce una chiara e piacevole sensazione pseudocalorica in un vino con discreta concentrazione di alcol (11-12.5%).

Caldo: quando si percepisce una spiccata sensazione pseudocalorica in un vino dal tenore alcolometrico tra i 12.5 e i 15% vol. e che presenta un buon equilibrio tra durezze e morbidezze.

Alcolico: quando in un vino è predominante la sensazione pseudocalorica correlata ad alte concentrazioni di alcol (15- 20% vol.). Si tratta in genere di vini liquorosi e aromatizzati ai quali è aggiunta mistella, alcol buon gusto, acquaviti. In tutti gli altri casi è da ritenere un'anomalia o addirittura una frode.

Scoprendo i giusti aspetti organolettici del vino si avrà più consapevolezza di cosa beviamo. Molte volte ci saranno furbetti che tenteranno di mascherare difetti del vino aggiungendo liquidi alcolici a più concentrazione, magari per coprire l'acetificazione naturale del vino, come mi è capitato diverse volte. Si percepisce immediatamente in bocca e non si può fare altrimenti che smascherare la frode. Siamo semi professionisti e farci prendere letteralmente per il sedere da questi diciamo "ristoratori" non è accettabile.

Continua su questo link: i polialcoli

venerdì 18 giugno 2010

Il medico si esprime - considerazioni storico scientifiche di un professionista. Riso Jasmine al gelsomino, latte di cocco e polpette di carne




immagine tratta da http://cultura.blogosfere.it



Per il piatto di riferimento clicca QUI

Ingredienti: riso Jasmine, latte di cocco, zenzero, citronella, carne bovina e suina tritata.


Oggi il nostro chef ci ha preparato un piatto esotico, molto delicato al palato. Ci spostiamo in estremo oriente e più esattamente in Thailandia. L'alimento principe è il riso.

Il riso è il cereale più diffuso del mondo, alimento base per miliardi di persone. È originario dell'Asia sud-orientale (India, Indocina e Cina), dove è coltivato da tempi remotissimi. L'Italia ne è la maggiore produttrice europea. L'imperatore cinese Chin-Nong, vissuto circa 2800 anni a.C., presiedeva personalmente alle cerimonie per la semina del riso. In Occidente la prima precisa conoscenza del riso risale alle conquiste di Alessandro Magno nelle valli dell'Indo. In Europa la coltivazione del riso è entrata all'inizio dell'VIII secolo in Spagna con l'invasione degli Arabi.
Il riso è uno dei cereali più ricchi di amidi (oltre il 75%) e poveri di proteine (6-7%) e lipidi (3% nel riso integrale). Il riso Jasmine è coltivato in Thailandia. È caratterizzato da chicchi lunghi e sottili, che non si gonfiano durante la cottura bensì tendono ad allungarsi. Il sapore è delicato e aromatico. I chicchi tendono a rimanere asciutti e separati; può essere utilizzato per le preparazioni tipiche tailandesi, in accompagnamento a carni e pesci in umido. In questo piatto lo chef ha utilizzato un riso aromatizzato al gelsomino, un tocco in più per una cucina diversa ma delicata.
Altro ingrediente è il latte di cocco estratto dalla noce di cocco. La noce di cocco è un frutto che ha origini nell'arcipelago indonesiano. Il termine deriva dal portoghese coco probabilmente copiato da una voce indigena americana che indica il nome della palma da cocco e del suo frutto. La noce di cocco presenta numerose varietà che si differenziano per il colore, la grandezza e la forma del frutto. È coltivata nei paesi della fascia tropicale, in Asia, Africa e America (Brasile e Messico). Gli europei (portoghesi e spagnoli) scoprirono il cocco esplorando le coste occidentali dell'America centro-meridionale, e dall'inizio del 1500 cominciarono a coltivarlo. All'interno il frutto è caratterizzato da una parte liquida, la cosiddetta acqua di cocco, e da una parte solida, la polpa. L'acqua di cocco, ricavata dai frutti maturi, ha proprietà dissetanti, rinfrescanti e leggermente lassativa. Il latte di cocco è un liquido bianco denso ottenuto dal cocco. Il latte di cocco si ottiene aggiungendo acqua o latte alla polpa macinata della noce di cocco. In pratica il latte contiene tutti i grassi della polpa con aggiunti quelli del latte. L'acqua di cocco invece è contenuta nelle noci di cocco giovani, contiene pochissimi grassi ma parecchi carboidrati, vitamine e minerali.
In questo piatto lo chef non poteva non aggiungere la citronella, pianta aromatica utilizzata nella cucina asiatica, specialmente in quella thailandese, filippina, dello Sri Lanka e caraibica. Altre specie di citronella sono utilizzate per l'estrazione di quell'essenza che tutti noi chiamiamo "citronella" dall'aroma al limone che tiene lontane le zanzare.
Anche lo zenzero (Zingiber officinale) è una pianta erbacea originaria dell'estremo oriente. Largamente coltivata in tutta la fascia tropicale e subtropicale, è provvista di rizoma carnoso. Il rizoma essiccato, generalmente commercializzato in polvere, è impiegato in cucina come spezie.
Questo piatto, il cui unico difetto è che contiene tante calorie, unisce il riso al latte di cocco, allo zenzero, alla citronella, il tutto associato a piccole polpette di carne, dimostra la versatilità dello chef: qui la cucina asiatica, e in particolare thailandese, prende con successo il posto di quella mediterranea. Il piatto è invitante e delicato nello stesso tempo, con tanti profumi orientali per una cucina che forse poco conosciamo


Il dott. Sebastiano Nicosia, specialista cardiologo, vero “intenditore” della dieta mediterranea; da numerosi anni si occupa di cardiologia clinica e di diagnostica cardiovascolare, attento conoscitore delle malattie cardiovascolari legate al fumo di tabacco, ritiene che la dieta mediterranea svolga un ruolo importante nella prevenzione delle malattie cardiovascolari.

giovedì 10 giugno 2010

Arista di Maiale scaloppata con Crema al Tartufo e Glassa




Chi non ha mai fatto un viaggio verso le terre della Puglia in località San Giovanni Rotondo, o chi non ha mai pensato di farlo?
In questo viaggio cui ho voluto partecipare, al seguito del commando di fedeli, dove l'età media è di 938 anni secondo il codice biblico e un esiguo numero di persone più giovani, ho avuto la fortuna di visitare, come da programma, il piccolo centro che ha dato i natali al nostro Santo nazionale, Pietrelcina. Un paese da "presepe" in provincia di Benevento in Campania. Un piccolo gioiello, che rappresenta a pieno i centri agricoli di una volta. Ormai rimodernato pur mantenendo le tradizionali caratteristiche, con il senso civico proiettato all'accoglienza di decine di centinaia di turisti religiosi. Pulito, politicamente corretto, organizzato e… popolare. Vicoli e stradine assolutamente in salita, almeno così mi sono sembrati anche quando la strada percorsa era fatta di ritorno, chiese e reliquie del Santo ostese ovunque, case antiche e torri adibite a studiolo e dormitorio.

Tra tante piccole curiosità incontrate, è degna di ricordo questa specialità locale presentata come un vessillo dinanzi all'uscio di una piccola bottega di alimentari "Palle del nonno" e "Coglioni di mulo". Per questi due prodotti, a parte il cartello presentato nell'immagine, non mi è stato possibile informarmi su cosa fossero se non attraverso il magico strumento d'internet. Sono salumi di probabile provenienza umbra. Le Palle del nonno sono un salume dalla caratteristica forma a nido d'ape (si possono osservare in alto sul cartello corrispondente e purtroppo non in particolare), mentre, i "Coglioni di mulo" sono in sostanza una sorta di mortadella con una stecca di lardo aromatizzato al centro e la cui forma ricorda gli attributi dell'equino, detta anche "Mortadella di Campotosto". La bottega era spresidiata e dopo numerosi tentativi per richiamare l'attenzione dell'esercente e non essendosi presentato nessuno, ho dovuto, per causa di forza maggiore, anzi generale (il nostro organizzatore, un generale dell'esercito in pensione e prete, ribattezzato Adolf), ritornare sui miei passi verso il pullman. Vuoi per un debito di tempo, o per insofferenza verso l'indifferenza, sono andato via senza soddisfare questa curiosità che resta in sospeso per una prossima volta.

Nel luogo di preghiera più ambito da milioni di fedeli, San Giovanni Rotondo, oltre alla necessità di pregare e chiedere perdono per i miei peccati, non potevo non dare un'occhiatina al settore enogastronomico, cercando di mantenermi sulla politica della tipicità. Scopro con non poco stupore, che sul Gargano è presente in quantità elevate un prodotto, che nell'immaginario collettivo, è rappresentativo delle regioni del centro-nord; il tartufo nero, nello specifico "tuber aestivum", anche detto "Scorzone". Il sapore e gusto del tartufo lo conosco bene avendo lavorato come chef per qualche tempo in Umbria, presso l'agriturismo "Castelsenese". Risotto alla Norcina uno dei piatti che ho dovuto preparare più volte, oltre a Stringozzi alla Norcina, alla Zuppa di Cicerchie tartufate, Arista di maiale scaloppata alla crema di tartufo, etc. Preparazioni che mi hanno dato nozioni in merito agli abbinamenti del tartufo con vari alimenti.

Il Tartufo non è altro che un fungo interrato che sceglie di crescere solo in prossimità delle radici di alberi specifici con i quali si comporta da simbionte, ed ogni anno crescerà sempre ai piedi dello stesso albero. Il suo odore è così intenso perché la natura è perfetta (io vedo la mano di Dio in questo); è necessario che sviluppi odori forti, a maturità avvenuta non prima, per attirare animali selvatici, come cinghiali, maiali, tassi, volpi, etc., che mangiandoli garantiranno lo spargimento delle spore e, di conseguenza, la conservazione della specie. Il mio (si fa per dire) Scorzone è buono ma meno pregiato di altre specie di tartufo nero. Il gusto ricorda il fungo porcino, l'aglio e la nocciola, i sentori olfattivi non sono troppo marcati e il costo è decisamente accessibile.
Ho voluto impiegare il mio tocco di prelibatezza, il tartufo del Gargano, proponendo questo piatto montanaro "Arista di Maiale scaloppata con Crema al Tartufo e Glassa".
Ho dato la possibilità, a chi l'ha mangiato, di poter assaggiare l'arista con due salse d'accompagnamento. Quella bianca è al tartufo. Quella che dà sull'arancione è null'altro che la glassa di cottura con i propri odori ridotti a purea e addensata.

Ho impiegato:

900 g di arista di maiale magra in un unico pezzo.
60 g di lardo speziato.
Cipolla.
Carota.
Olio evo
Latte.
Sale e pepe nero q.b.

Per la crema al tartufo:
Latte ¾ di litro.
Patate lesse per addensare.
25 g di tartufo nero.
Sale.

Per la salsa di glassa:
Tutto il fondo di cottura dell'arista composto di carota, cipolla, succhi della carne, grassi vari e latte.
Fiocchi disidratati di patate (un cucchiaio).

Il procedimento non è difficile. Ho steccato l'arista con il lardo, cioè ho praticato delle incisioni sulla carne e vi ho infilato strisce di lardo, l'ho massaggiata con il sale ed ho legato la carne con elastici da cucina. Ho sigillato la carne a fuoco vivace con gli odori e olio. Ho bagnato la carne con del latte caldo e sapido. Ho inserito la placca in forno preriscaldato a 200°C circa. Ho bagnato la carne ogni 10-15 minuti con qualche mestolo di latte caldo. Ho continuato la cottura per 40-50 minuti. Ho estratto la placca dal forno e ho atteso qualche minuto affinché la carne potesse essere manipolabile senza pericolo di ustioni. Mi sono limitato a riceverne di leggere ma nulla di tanto grave (quando "l'amore è corrisposto…a volte"). Ho eliminato gli elastici ed ho tagliato a sottili fette la carne a coltello. Ho preparato le salse, anzi le creme, ho impiattato guarnendo con carpaccio di tartufo e servito.

In abbinamento consiglio un "Primitivo di Manduria" per mantenerci sulla regione Puglia. Un vino dai particolari sentori, rosso, caldo, equilibrato, abbastanza fresco, mediamente astringente, persistente. Regala emozioni degustato in calice singolarmente e, accostato alle caratteristiche organolettiche della pietanza da me preparata è…di"vino".

Per concludere, da chi ha gustato il piatto ho ricevuto elogi sulla finezza delle salse e il loro equilibrio. Attenzione e moderazione attività necessarie, ma che lo dico a fare?! Tanto lo sapete già!


Buon appetito.

VINO AI CICLOPI breve guida alla degustazione


Analisi gusto olfattiva: la dolcezza




Gli zuccheri sono composti chimici organici presenti in ogni tipo di frutta e in quasi tutti gli alimenti. Nell'uva i glucidi presenti, che interessano maggiormente alla fermentazione alcolica, sono glucosio e fruttosio. Molto spesso mi sono imbattuto nel termine "zucchero d'uva", che qualche esperto presentava come uno zucchero dalle caratteristiche migliori rispetto al comune zucchero saccarosio. Effettivamente una molecola di saccarosio, un disaccaride, è composta di una molecola di glucosio e una di fruttosio legate assieme da un legame 1,2-glucosidico. Nell'acino d'uva il saccarosio, prodotto con la fotosintesi nelle foglie, è scisso nei due glucidi monosaccaridi costituenti con una piccolissima maggior concentrazione di fruttosio. Sono anche presenti, in tracce, concentrazioni di D-arabinosio e D-xilosio, ma sono zuccheri non fermentescibili, cioè non partecipano alla fermentazione alcolica.
Lo zucchero del mosto viene, il più delle volte, trasformato completamente in alcol durante la fermentazione ed è detto alcol svolto (il titolo alcolometrico riportato in etichetta con % vol.). In questo caso il vino non presenterà dolcezza percepibile e sarà detto secco. Nel caso in cui lo zucchero non sia totalmente svolto (per esempio quando è volutamente interrotta la fermentazione) si potrà avvertire la dolcezza, tipica nei vini passiti, da dessert o liquorosi dolci. Il residuo zuccherino sarà indicato come alcol potenziale. La somma dell'alcol svolto e quello potenziale è detta alcol complessivo.
Per quanto riguarda la dolcezza non vi è molto da dire, poiché tutti noi siamo abituati alla sensazione dovuta agli zuccheri sin dalla più tenera età, quindi non ci sono segreti da svelare ad esclusione che il livello zuccherino e solo per i vini dolci, può essere aiutato (spinto) da altre sostanze come l'alcol o contrastato dalle sensazioni dure come l'acidità o la sapidità. In due vini con la stessa concentrazione zuccherina sarà più avvertibile la sensazione di dolcezza in quello con una maggiore alcolicità, e meno percepibile in quello con maggior tenore in acidità e sapidità. Ricordo che l'equilibrio è fondamentale per avere sensazioni piacevoli e deve essere appropriato per ogni tipologia di vino.
I termini per giustificare la dolcezza sono:

Secco: si dice di un vino in cui la sensazione di dolcezza non è percepita, dovuto principalmente a un residuo zuccherino molto basso (1-10 g/l). Può contribuire ad accentuare le morbidezze.

Abboccato: si dice di un vino in cui la dolcezza è appena percepita grazie ad un residuo zuccherino abbastanza basso (10-30 g/l).

Amabile: si percepisce nel vino una netta sensazione di dolcezza anche se delicata (30-50 g/l). Chi non avesse ancora degustato il "Lambrusco di Modena amabile" lo faccia per capire il livello di dolcezza tipico di un vino amabile.

Dolce: si dice di un vino in cui la sensazione di dolcezza è molto spiccata. Il livello di zucchero è di 50-100 g/l per i vini dolci, come Sangue di Giuda o Oltrepò Pavese, fino a 100-180 g/l per i vini passiti e liquorosi dolci.

Stucchevole: si dice di un vino in cui si avverte una sensazione di dolcezza predominante non supportata da acidità e sapidità adeguate. È una situazione negativa quindi non accettabile.


Continua su questo link:  gli alcoli o pseudocolare

giovedì 3 giugno 2010

VINO AI CICLOPI breve guida alla degustazione


Analisi gusto olfattiva Praefatio


 


 
Con gli esami precedenti, visivo e olfattivo, abbiamo osservato l'aspetto iniziale del nostro vino, ne abbiamo avuto le prime informazioni sulla salute e sullo stato. L'esame, a mio dire, più importante è quello che dovrà essere eseguito successivamente: l'esame gusto-olfattivo. I parametri da valutare sono diversi e non tutti di facile individuazione, ma, con il tempo, si diventa esperti nel dare un giudizio abbastanza preciso per ogni sensazione percepita con mezzi e sistemi differenti dai precedenti, le papille gustative sparse per tutta la bocca e nuovamente l'epitelio o mucosa olfattiva, però interessata in senso inverso, cioè dalla bocca verso la cavità nasale a risalire verso i turbinati. Le sensazioni dette propriamente "retro nasali".
Prima di descrivere il procedimento dell'esame tecnico, è opportuno definire le caratteristiche che dovranno essere valutate. In bocca saranno percepite, come già accennato, diverse sensazioni con differenti mezzi deputati a tale scopo. Le papille saporifere, sparse sulla lingua e palato, saranno destinate alla percezione delle sensazioni, per l'appunto, saporifere. Dolce, salato, acido, amaro e umami. Sempre attraverso la bocca potranno essere percepite le sensazioni tattili, cioè astringenza, pseudo calore, struttura e consistenza gustativa, pungenza ed effetto termico.
Le caratteristiche sopra citate non completano i punti da analizzare, per complicare ancora più la vita di un appassionato degustatore, dovranno essere sintetizzati e descritti altri aspetti: struttura, equilibrio, intensità, persistenza (importantissima negli abbinamenti cibo-vino) e qualità gusto-olfattiva. Dopo tale carrellata sugli oneri che spettano ai lettori, la tentazione di cedere alla fatica e passare alla degustazione delle bibite è forte ma non giustificata. Occorre un po' d'impegno che, con il tempo, sarà ben ricompensato, avendo precisa cognizione di cosa abbiamo nel nostro bicchiere, potendo abbinare meglio un vino a una specifica pietanza, farci condizionare meno dalle presentazioni delle guide, produttori e pseudo professionisti, seppur importantissime, molte volte sono faziose. Entrano in ballo svariati interessi, come la reclame di un determinato prodotto, tenendo fede ad un accordo commerciale (del tipo tu mi paghi io ti promuovo un prodotto a prescindere dall'effettiva qualità), oppure eliminare dalla cantina di un ristorante un prodotto poco apprezzato e in giacenza da diverso tempo fino alla sua involuzione. Oppure riuscire a, il termine appropriato è, "sgamare" (accorgersi), anche se non sempre sarà possibile, delle operazioni fraudolente che molti ristoratori compiono per allungare o correggere eventuali difetti del tipo aggiunta di alcol buongusto per compensare lo scarso spessore, aggiunta di acqua per cimentarsi nel miracolo del vino in un delirio megalomane atto, in senso contrario, ad emulare Gesù Cristo nella sua trasformazione di acqua in vino. Loro tentano di trasformare il vino in acqua.
Per capire come effettivamente avviene l'esame gusto-olfattivo, dobbiamo premettere le caratteristiche del vino stesso. I primi aspetti organolettici da valutare sono suddivisi in morbidezze e durezze. Alle morbidezze appartengono la dolcezza, ossia la presenza percepibile di eventuale zucchero; il calore che indica il grado di alcolicità; la morbidezza, che indica il grado di percezione dei poliacoli (glicerolo).
Per quanto riguarda le durezze del vino, appartengono a esse le sensazioni cosiddette: freschezza, termine con il quale si indica il livello di percezione degli acidi organici; tannicità, questo termine è usato per descrivere il grado di presenza dei tannini; sapidità, con il quale valutiamo la quantità di sali minerali. Da tale prima indicazione segue il prospetto per comprendere meglio anche l'equilibrio di un vino, disponendo i termini in una tabella:

 

 
Morbidezze
Durezze
Dolcezza-Zuccheri
Freschezza-Acidi
Calore-Alcol
Tannicità-tannini
Morbidezza-Polialcoli
Sapidità-Sali minerali

 
Vedremo in seguito come l'equilibrio di un vino possa essere bilanciato dalla compresenza degli elementi sopra descritti.
Analizzeremo insieme i punti affrontati singolarmente.

 
Continua su questo link:  La dolcezza